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CLL/SLL: interessanti update dall’ALPINE trial

A cura di Stefania Mengoni By Luglio 20, 2021Maggio 10th, 2022No Comments
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Il trattamento della leucemia linfatica cronica (CLL) e dello “Small Lymphocytic Lymphoma” (SLL) è cambiato grazie all’avvento di efficaci inibitori della tirosina chinasi di Bruton. L’ibrutinib, che fa parte degli inibitori di BTK di prima generazione, rappresenta ad oggi uno standard di cura in questo setting.

Zanubrutinib è un inibitore di BTK di nuova generazione, irreversibile, potente e altamente selettivo. In uno studio presentato in occasione del Congresso dell’European Hematology Association, è stato ipotizzato che l’aumentata specificità dello zanubrutinib potesse minimizzare le tossicità dell’ibrutinib e che l’impiego più adeguato e prolungato del nuovo inibitore di BTK potesse migliorare i risultati di efficacia.

I pazienti arruolati nello studio venivano randomizzati 1:1 a ricevere zanubrutinib 160 mg due volte al giorno o ibrutinib 420 mg una volta al giorno fino a progressione della malattia.
La randomizzazione era stratificata per età (<65 anni vs ≥65 anni), regione geografica, refrattarietà e stato mutazionale del 17p/TP53.
L’endpoint primario era il tasso di risposta globale (ORR) come determinato dai ricercatori utilizzando le linee guida iwCLL del 2008 per la LLC e i criteri di Lugano per lo SLL.

Tra il 5 novembre 2018 e il 20 dicembre 2019, sono stati randomizzati 415 pazienti. I gruppi di trattamento erano ben bilanciati per caratteristiche demografiche e di malattia: età ≥65 anni 62,3% vs 61,5%, maschi 68,6% vs 75%, > 3 linee di terapia precedenti 7,2% vs 10,1%, del17p 11,6% vs 12,5%, TP53 mutato senza del17p 8,2% vs 5,8%, rispettivamente nei bracco zanubrutinib e ibrutinib. A un follow-up mediano di 15 mesi, l’ORR era significativamente più alto con zanubrutinib vs ibrutinib (78,3% vs 62,5%, P a 2 code = 0,0006 rispetto all’alfa pre-specificato di 0,0099 per l’analisi ad interim).
L’ORR era maggiore nei pazienti con del11q (83,6% vs 69,1%) e del17p (83,3% vs 53,8%) con zanubrutinib, così come la PFS complessiva a 12 mesi (94,9% vs 84,0%) e i tassi di OS (97,0% vs 92,7 %).

Il tasso di fibrillazione/flutter atriale, un endpoint di sicurezza prestabilito, era significativamente più basso con zanubrutinib vs ibrutinib (2,5% vs 10,1%, P=0,0014 a 2 code, rispetto all’alfa pre-specificato di 0,0099 per l’analisi ad interim).
Anche i tassi di sanguinamento maggiore (2,9% vs 3,9%) e di eventi avversi che hanno portato all’interruzione (7,8% vs 13,0%) o alla morte (3,9% vs 5,8%) erano inferiori con zanubrutinib. L’incidenza di neutropenia era più alta con zanubrutinib (28,4% vs 21,7%), mentre le infezioni di grado ≥3 erano inferiori con zanubrutinib (12,7% vs 17,9%).

“I risultati dello studio ALPINE  evidenziano che zanubrutinib ha mostrato un tasso di risposta superiore, una PFS migliorata e un tasso inferiore di fibrillazione/flutter atriale rispetto a ibrutinib. Questi dati confermano che un’inibizione più selettiva di BTK si traduce in migliori risultati di efficacia e sicurezza”, commentano i ricercatori.

Bibliografia.
Hillmen P, Eichhorst B, Brown JR, et al. First interim analysis of ALPINE study: results of a phase 3 randomized study of zanubrutinib vs ibrutinib in patients with relapsed/refractory chronic lymphocytic leukemia/small lymphocytic lymphoma. EHA Virtual Congrtess 2021; abstract #LB1900.

 

a cura di Stefania Mengoni