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Dosaggio basso o dosaggio ridotto? Questo è il dilemma!

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Gli anticoagulanti orali diretti (DOAC) in commercio possiedono tutti due dosaggi utilizzabili per la prevenzione dell’ictus ischemico e dell’embolia sistemica nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare (FANV). Tali dosaggi, pur essendo genericamente definiti come dosaggi pieni e dosaggi ridotti, in realtà presentano delle differenze significative sia da un punto di vista farmacologico che clinico, determinando due diversi scenari di utilizzo tra l’unico inibitore diretto del fattore II, il dabigatran, e gli inibitori diretti del fattore Xa (apixaban, edoxaban e rivaroxaban).

Nell’articolo di Andrea Rubboli, pubblicato nel 2017 sul Giornale Italiano di Cardiologia[1], viene chiaramente spiegato come tale differenza derivi principalmente dal diverso disegno degli studi registrativi dei quattro DOAC. Nello studio RE-LY[2] infatti i pazienti sono stati randomizzati in tre gruppi omogenei, dabigatran 150 mg bid, dabigatran 110 mg bid e warfarin con dosi aggiustate per mantenere l’INR (international normalized ratio) tra 2 e 3. In tale modo si è potuto dimostrare come in popolazioni omogenee dabigatran 150 mg bid possieda maggiore efficacia ed uguale sicurezza rispetto a warfarin, mentre dabigatran 110 mg bid possieda maggiore sicurezza ed uguale efficacia rispetto a warfarin.

Negli studi ARISTOTLE[3], ENGAGE AF-TIMI 48[4] e ROCKET AF[5] invece l’arruolamento prevedeva due bracci, a warfarin con dosi aggiustate per mantenere l’INR tra 2 e 3 e a rispettivamente apixaban 5 mg bid, edoxaban 60 mg/die (escludendo il braccio 30/15 mg per cui non è stata richiesta l’approvazione) e rivaroxaban 20 mg/die. Era possibile, nei bracci dei DOAC, ridurre il dosaggio (2.5 mg bid per apixaban, 30 mg/die per edoxaban e 15 mg/die per rivaroxaban) in base a caratteristiche pre-specificate in maniera diversa nei tre studi (≥2 caratteristiche fra età ≥80 anni, peso ≤60 kg e creatinina ≥1.5 mg/dl per apixaban; ≥1 caratteristiche tra clearance della creatinina 30-50 ml/min, peso ≤60 kg e uso concomitante di inibitori della glicoproteina-P per edoxaban; clearance della creatinina 30-49 ml/min per rivaroxaban). Tale riduzione di dosaggio derivava da studi di fase 2 sulle concentrazioni plasmatiche di questi farmaci dove si era visto come, nei pazienti che presentavano queste caratteristiche, si dovesse necessariamente ridurre il dosaggio del DOAC per mantenere un range plasmatico di farmaco efficace e sicuro. Questo spiega come le due popolazioni di pazienti arruolati, con warfarin e con l’inibitore del fattore Xa a dosaggio pieno, fossero diverse per caratteristiche cliniche rispetto ai pazienti arruolati nel gruppo a dosaggio ridotto.

In termini pratici ciò si traduce sostanzialmente in una forte raccomandazione per il clinico a seguire con attenzione i criteri di riduzione dei dosaggi per ogni inibitore del fattore Xa, eliminando completamente la discrezionalità clinica. Ad oggi la categoria dei DOAC ha superato in termini di prescrizione gli antagonisti della vitamina K (market share 54% vs 46% secondo i dati IMS di dicembre 2017) in un mercato guidato sostanzialmente dal messaggio sicurezza, come dimostrato anche nella survey prodotta da ARCA Liguria e pubblicata nel dicembre 2016[6]. Infatti, alla domanda “nella scelta di un DOAC quanto pesano le seguenti caratteristiche?”, il campione esaminato composto da 154 medici liguri ha risposto preferenzialmente “la sicurezza”. Questa nostra particolare attenzione verso il concetto del primum non nocere ci ha spinti ad un utilizzo probabilmente eccessivo dei dosaggi ridotti. Ad oggi il 40% circa dei pazienti assume il dosaggio ridotto degli inibitori del fattore Xa ed il 60% dei pazienti in dabigatran assume il dosaggio 110 mg bid. Ma mentre per dabigatran, come detto, la scelta della riduzione del dosaggio può essere discrezionale e quindi tale percentuale può rispecchiare le caratteristiche di maggiore fragilità nella “real life” dei pazienti, per gli inibitori del fattore Xa le percentuali di pazienti gestiti con i bassi dosaggi sono molto diverse da quelle attese secondo gli studi registrativi (5% per apixaban 2.5 bid, 25% per edoxaban 30 mg/die e 20% per rivaroxaban 15 mg/die). Questa sovraprescrizione di bassi dosaggi per gli inibitori del fattore Xa potrebbe portare ad avere una certa quota di pazienti con FANV sottodosati, e quindi a maggior rischio embolico cerebrale e sistemico. Tale concetto è supportato da dati osservazionali del “mondo reale” che mostrano come un utilizzo delle dosi ridotte in condizioni non adeguate possa non fornire un’adeguata protezione contro gli eventi cadioembolici. Tale aspetto è particolarmente evidente con la dose ridotta di apixaban, la quale nella pratica clinica è usata fino a 4 volte di più rispetto allo studio registrativo e nei confronti della quale dovremmo fare uno sforzo culturale, allineandoci maggiormente alle indicazioni di riduzione del dosaggio derivanti dallo studio registrativo (e non genericamente riferendoci alla clearance della creatinina).

In conclusione, ritornando all’articolo di Andrea Rubboli, possiamo dire che i DOAC ci offrono un grande vantaggio clinico gestionale per i nostri pazienti, dandoci la possibilità di utilizzare quattro farmaci ognuno con due dosaggi. Dobbiamo però avere molta attenzione nell’utilizzo delle basse dosi: possiamo utilizzare la dose “alta” e “bassa” di dabigatran in base all’obiettivo clinico da raggiungere con una certa discrezionalità, mentre dobbiamo seguire con molta rigorosità ed attenzione i diversi criteri di riduzione del dosaggio per le dosi “piene” e le dosi “ridotte” degli inibitori del fattore Xa. Come a dire che molte volte le parole pesano e non sempre è solo questione di semantica!

Sergio Agosti
S.C. Cardiologia
Ospedale San Giacomo
Novi Ligure (AL)

Bibliografia

1. Rubboli A. Bassa o ridotta? Semantica delle dosi dei nuovi anticoagulanti orali. G Ital Cardiol 2017;18(9 Suppl 2):3S-9S.
2. Connolly SJ, Ezekowitz MD, Yusuf S, et al.; RE-LY Steering Committee and Investigators. Dabigatran versus warfarin in patients with atrial fibrillation. N Engl J Med 2009;361:1139-51.
3. Granger CB, Alexander JH, McMurray JJ, et al.; ARISTOTLE Committees and Investigators. Apixaban versus warfarin in patients with atrial fibrillation. N Engl J Med 2011;365:981-92.
4. Giugliano RP, Ruff CT, Braunwald E, et al.; ENGAGE AF-TIMI 48 Investigators. Edoxaban versus warfarin in patients with atrial fibrillation. N Engl J Med 2013;369:2093-104.
5. Patel MR, Mahaffey KW, Garg J, et al.; ROCKET AF Investigators. Rivaroxaban versus warfarin in nonvalvular atrial fibrillation. N Engl J Med 2011;365:883-91.
6. Agosti S, Casalino L, Tarabella B, et al. ARCA Liguria NAO Survey: our results. Cardiologia Ambulatoriale 2016;4:247-57.

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