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Leucemia linfoblastica acuta, storia di un successo tutto italiano

By Luglio 19, 2022No Comments
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Sono passati quasi vent’anni da quando in Italia fu sperimentata per la prima volta l’imatinib, appartenente a una nuova classe di farmaci antitumorali mirati, in pazienti con leucemia  linfoblastica acuta associata a un’alterazione del cromosoma Philadelphia  per il trattamento iniziale di questi pazienti. Poiché si trattava di un approccio terapeutico rivoluzionario, furono arruolati per questo studio solo pazienti anziani, di oltre 60 anni, per molti dei quali venivano offerte esclusivamente terapie palliative. Dopo essere stati trattati con una combinazione di imatinib,  un inibitore delle tirosin-chinasi,  e uno steroide, tutti i pazienti presentavano una remissione della malattia.

Questa strategia terapeutica ha permesso di ottenere percentuali di risposta nel 94-100% dei pazienti adulti di tutte le età con LAL Ph+, senza dover ricorrere a chemioterapia sistemica e con una bassa tossicità per i pazienti.

Negli anni la ricerca del gruppo coordinato da Robin Foà, Professore Emerito di Ematologia –  Sapienza Università di Roma, è andata avanti con l’obiettivo di arrivare alla guarigione dei pazienti affetti da questa patologia ematologica.

In un’interessante review “Philadelphia chromosome-positive acutel ymphoblastic leukemia”, presentata sul New England Journal of Medicine, Robin Foà ha descritto i risultati raggiunti negli ultimi vent’anni nel trattamento della LLA Ph+ sottolineando come  sia cambiata la storia naturale di questa malattia, prima considerata una neoplasia ematologica a prognosi infausta.

Dopo la prima sperimentazione dell’imatinib in pazienti con LAL Ph+, si è progressivamente compreso che, per evitare una recidiva di malattia e migliorare le possibilità di guarigione, non bastasse una remissione ematologica, ma fosse essenziale ottenere uno stato di negatività della malattia residua minima.

Nel 2016 iniziò il primo studio multicentrico italiano per pazienti adulti con LAL Ph+ (senza limiti di età) nel quale fu prevista l’aggiunta al TKI del blinatumomab, primo farmaco nella classe degli anticorpi bi-specifici BiTE®, che agiscono stimolando una doppia reazione: da un lato il blinatumomab si lega alla proteina espressa dalle cellule leucemiche e dall’altro attiva nell’organismo una risposta immunologia. Questo approccio chemio-free, basato sulla combinazione di una terapia iniziale mirata su un TKI (dasatinib) e steroide (di induzione), seguita da una strategia immunoterapica  come terapia di consolidamento, ha portato a remissioni nel 98% dei pazienti e, soprattutto, a remissioni molecolari fino all’80% dei casi. I risultati dello studio sono stati pubblicati sempre sul New England Journal of Medicine.

Nella review viene inoltre discusso l’utilizzo negli anni dei TKI di seconda e terza generazione, da soli o insieme a dosi ridotte di chemioterapia, nel trattamento di prima linea di pazienti con LLA Ph+, di come consolidare le risposte ottenute con i TKI, e di come l’immunoterapia con blinatumomab abbia potenziato significativamente le risposte ottenute con i TKI. Viene, inoltre, discussa la gestione delle recidive sulla base delle nuove prospettive terapeutiche e valutato il ruolo che oggi ha il trapianto allogenico di cellule staminali, alla luce dei risultati ottenuti dalla combinazione della targeted therapy con l’immunoterapia.

Un paragrafo è dedicato a “Role of Laboratory Testing in Management” in quanto i risultati ottenuti nelle LAL Ph+ sono stati e sono possibili solo attraverso la disponibilità di laboratori certificati, che utilizzano metodiche standardizzate .

Per le LAL Ph+ è essenziale ottenere una diagnosi molecolare precisa nella prima settimana dalla diagnosi di LAL, così da poter iniziare tempestivamente il trattamento con un TKI. Inoltre, va effettuato uno studio molecolare volto a definire se un paziente ha un profilo genetico sfavorevole o meno, va studiata la possibile presenza di mutazioni che conferiscono resistenza ad alcuni TKI, va monitorizzata accuratamente la MRD con tecniche di PCR quantitativa e ora anche con tecniche più sensibili (come la droplet digital PCR), e vanno monitorizzate le modulazioni indotte dal trattamento con TKI e blinatumomab sul compartimento immunitario dei pazienti trattati. Uno sforzo organizzativo assai impegnativo, ma essenziale per l’ottenimento dei risultati.

Questo complesso network non è, ovviamente, disponibile a livello globale, e anzi sta diventando sempre più difficile gestire al meglio i pazienti. Risultano essenziali, quindi, gli studi cooperativi, presenti in diversi paesi. Tra questi, in Italia si annoverano il GIMEMA per gli adulti e l’AIEOP per i bambini. Nei protocolli GIMEMA per le LLA tutti i campioni dei pazienti arruolati sono centralizzati dal 1996 (alla diagnosi e nel follow-up) presso i laboratori di Ematologia del Policlinico universitario Umberto I, per garantire che tutti i pazienti siano studiati in modo uniforme. Questo è possibile solo con personale qualificato e adeguatamente formato, che si accerti che tutti i complessi test necessari vengano adeguatamente effettuati in laboratori certificati.

Nella review viene trattata anche la questione della “Accessibility and Sustainability”. Quanti pazienti hanno accesso a tutto questo? In termini di test di laboratorio e di accesso ai farmaci? Ancor oggi in molte parti del mondo la disponibilità di TKI è limitata. Di fatto, troppo spesso l’accesso ai laboratori per i test necessari e alle terapie è possibile solo per chi può permetterselo.

Questo approccio di induzione e consolidamento senza chemioterapia sistemica è stato particolarmente importante anche durante il primo picco della pandemia da Covid-19, perché ha permesso ai pazienti di ridurre i tempi di ospedalizzazione e soprattutto di non interrompere il trattamento.

Nel paragrafo conclusivo della review viene infine chiarito che gli studi attualmente in corso – in primis il nuovo protocollo GIMEMA aperto all’arruolamento – potranno stabilire in modo conclusivo se una quota di pazienti con LAL Ph+ potrà essere trattata in futuro senza chemioterapia sistemica e trapianto.
“Un risultato impensabile anche solo pochi anni fa – dichiara Robin Foà – che mi porta a dire ai più giovani di credere nelle loro idee, soprattutto se originali, e di perseguirle con ostinazione. Anche per noi non fu facile all’inizio, ma questa storia tutta italiana ci insegna che spesso i sogni si realizzano”.

Bibliografia. Foà R, Chiaretti S. Philadelphia chromosome-positive acute lymphoblastic leukemia. N Engl J Med 2022;386(25):2399-2411