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Anemia falciforme: autotrapianto di cellule staminali geneticamente modificate

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Per la prima volta un paziente affetto da anemia falciforme potrebbe guarire per effetto di una terapia genica. I risultati relativi al caso di un ragazzo adolescente preso in carico dall’Hôpital Necker–Enfants Malades di Parigi, pubblicati sul New England Journal of Medicine, aprono alla possibilità di intervenire tramite autotrapianto di cellule staminali, geneticamente modificate in modo da non esprimere le alterazioni molecolari tipiche della patologia. Dopo 15 mesi dalla fine del trattamento il paziente descritto in questo case study non ha più manifestato i sintomi e ha smesso di assumere farmaci per l’anemia.

“Sappiamo da molto tempo che l’unico trattamento in grado di curare definitivamente questa patologia è il trapianto di cellule staminali ematopoietiche”, ha commentato George Buchanan, docente di Pediatria del Southwestern Medical Center dell’University of Texas, “tuttavia la maggior parte dei pazienti non ha un donatore”. Sarebbe quindi molto importante riuscire a rendere percorribile la strada dell’autotrapianto. Per farlo, i ricercatori dell’Hôpital Necker–Enfants Malades di Parigi hanno preso in considerazione un gene, detto beta globina, che risulta mutato nei pazienti affetti da anemia falciforme. Il team di ricerca francese ha prelevato una porzione di cellule staminali dal midollo osseo del giovane paziente e ha successivamente eliminato le restanti mediante chemioterapia. In seguito i ricercatori hanno inserito, attraverso un virus geneticamente modificato, la versione non alterata del gene beta globina nelle cellule staminali prelevate dal paziente prima del trattamento chemioterapico. Le cellule modificate sono state quindi re-infuse nel paziente stesso. Nei 15 mesi successivi il numero di cellule del sangue caratterizzate da emoglobina non alterata del paziente è progressivamente cresciuto, fino a interessare la metà delle emoglobine totali. In altre parole la terapia ha reso i suoi livelli di emoglobina alterata simili a quelli delle persone che ereditano l’anemia falciforme da un solo genitore e che quindi non sviluppano la patologia. Infatti, come risultato il paziente non ha più manifestato i sintomi associati alla malattia (dolori, fatica, respiro corto) e ha sospeso i farmaci. “Questo risultato è senz’altro incoraggiante”, spiega David Williams, presidente del Dana Farber/Boston Children’s Cancer and Blood Disorder Center, “tuttavia, i risultati riguardano un singolo paziente e 15 mesi è un follow up troppo breve”.

La speranza è quella di poter, un giorno, sviluppare un trattamento accessibile in grado di curare definitivamente l’anemia falciforme. Tuttavia, al momento non è possibile stabilire se e quando questo potrà accadere. Secondo Williams, le problematiche principali al momento sono due: la sicurezza a lungo termine della terapia e la sopravvivenza, in termini di durata, delle cellule staminali modificate. Inoltre, qualora il trattamento si dovesse dimostrare sicuro ed efficace rimarrebbero comunque dei seri problemi di accessibilità. Poiché richiede una particolare dotazione tecnologica, il trattamento potrebbe infatti risultare troppo costoso per la maggior parte dei pazienti, spesso poveri e distanti dalle grandi strutture mediche, affetti da anemia falciforme.

Fabio Ambrosino

▼ Ribeil JA, Hacein-Bein-Abina S, Payen E, et al. Gene Therapy in a Patient with Sickle Cell Disease. The New England Journal of Medicine 2017; 376: 848 – 855

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Tags: Anemia falciforme

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