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Linfociti CAR nel trattamento delle neoplasie ematologiche

By Novembre 30, 2016No Comments
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Negli ultimi anni le terapie basate sull’infusione di linfociti T ingegnerizzati in modo da esprimere recettori chimerici per l’antigene (Chimeric Antigen Receptors o CAR) hanno suscitato grande interesse a causa delle loro potenzialità in termini di controllo a lungo termine della malattia e di rapidità dell’azione. Un gruppo di ricerca della Perelman School of Medicine dell’University of Pennsylvania ha quindi analizzato i risultati dei trial clinici relativi all’utilizzo di questa tipologia di trattamento nella cura delle neoplasie ematologiche. Dalla review, pubblicata sulla rivista Blood, emergono diverse indicazioni relative alle tecniche di ingegneria genetica utilizzate per produrre i linfociti CAR, alla loro efficacia in ambito ematologico e alle loro caratteristiche in termini di tossicità.

I metodi utilizzati per produrre questo tipo di cellule sono diversi e ognuno di questi presenta dei vantaggi e degli svantaggi per quanto riguarda costi, sicurezza e livelli di espressione. Inizialmente il metodo più diffuso era quello della trasfezione mediante DNA non virale, a causa dei costi limitati e del rischio ridotto di mutagenesi inserzionale. Tuttavia, questa strategia mostrava esiti scarsi in termini di attività e persistenza delle cellule prodotte che in alcuni casi risultavano immunogeniche. Sistemi basati sull’utilizzo di transposoni sono invece risultati più efficienti nell’integrare transgeni e nel favorire una loro espressione sostenuta ma hanno delle limitazioni per quanto riguarda i tempi di coltura. Altri ricercatori hanno invece utilizzato i gammaretrovirus in quanto relativamente facili da produrre e in quanto garantiscono una buona efficienza e persistenza delle cellule T trasdotte. Tuttavia, l’utilizzo di un retrovirus come veicolo espone al rischio di silenziamento dell’espressione dei CAR. Similmente, l’impiego di vettori lentivirali garantisce una buona efficienza e persistenza delle cellule T trasdotte ma presenta degli svantaggi in termini economici.

I trial clinici relativi all’utilizzo dei linfociti CAR nel trattamento delle patologie ematologiche hanno, nella quasi totalità dei casi, preso in considerazione gli antigeni CD19 e CD20 delle neoplasie delle cellule B, a eccezione di un unico studio che aveva come target gli antigeni Lewis-Y nella leucemia mieloide acuta. Tuttavia, quasi tutte le ricerche differivano tra loro in termini di progettazione dei CAR, di espressione di questi sui linfociti T, di condizioni di coltura e di tempistiche relative all’infusione. Ciò nonostante, mettendo a confronto i diversi trial è emerso che i linfociti T ingegnerizzati più efficaci sono quelli che mostrano i livelli più alti di espressione dei recettori CAR prima dell’infusione e che, in seguito a questa, sono in grado di espandersi e sopravvivere per diverse settimane. Inoltre, le cellule CAR-T più efficaci sono risultate essere quelle associate a tossicità on target.

Da questi studi emerge inoltre che l’efficacia delle terapie basata sull’infusione di linfociti CAR dipende anche dal tipo di neoplasia. Ad esempio, la leucemia linfoblastica acuta mostra un tasso di risposta maggiore, pari all’80% circa, rispetto alla leucemia linfoblastica cronica e ai linfomi indolenti. I motivi alla base di queste differenze sono, secondo gli autori, dovuti a diversi livelli di ricezione delle cellule T in queste patologie, a effetti inibitori legati al microambiente tumorale, a caratteristiche dei trattamenti precedenti, all’età del paziente e alla robustezza e composizione delle cellule T di partenza. Inoltre, perché il trattamento a base di linfociti CAR sia efficace sembra sia necessario raggiungere un buon livello di persistenza dell’attecchimento, che si prolunghi almeno per qualche mese.

Infine, il gruppo di ricerca dell’University of Pennsylvania ha preso in considerazione potenziali tossicità legate a queste cellule. Dal momento che l’insorgenza di una sindrome da rilascio di citochine (CRS), spesso accompagnata da una sindrome da attivazione macrofagica (MAS), sembra essere correlata ad attività antitumorale, al momento non si sa se la risposta del sistema immunitario innato possa in qualche modo influenzare l’efficacia dei linfociti CAR. Infatti, per quanto è possibile ipotizzare che queste eliminino direttamente le cellule tumorali, non è ancora chiaro quale di queste cellule produca la maggior parte delle citochine. Negli studi che avevano come target gli antigeni CD19 si sono inoltre verificati casi (tutti caratterizzati da reversibilità) di ottundimento, convulsioni, afasia e alterazioni dello stato mentale che potrebbero essere legati alla CRS e alla MAS, le quali spesso si associano a tossicità neurologica. Infine, in seguito alla somministrazione della terapia si può verificare un’aplasia delle cellule B, spesso utilizzata come misura surrogata dell’efficacia dei linfociti CAR. Per quanto risolvibile mediante terapie a basa di gammaglobuline, un’aplasia persistente delle cellule B può associarsi a un rischio elevato di infezioni.

Queste tossicità dovranno quindi essere ulteriormente indagate in futuro. Inoltre, i ricercatori dovranno superare i due ostacoli principali per il raggiungimento di un prodotto cellulare ottimale: la scoperta di nuovi target e la produzione su larga scala di linfociti ingegnerizzati. Nel caso delle terapie che hanno come target gli antigeni CD19, ad esempio, diversi studi coinvolgono già network di gruppi di ricerca e industrie farmaceutiche e biotecnologiche, proprio col fine di superare queste limitazioni.

Fabio Ambrosino

▼Maus MV, Grupp SA, Porter DL, June CH. Antibody-modified T-cells: CARs take the frotn seat for hematologic melignancies. Blood 2014; 123(17): 2625 – 2635.