
La fusione di due geni, denominati NUTM1 e PAX5, può costituire un importante fattore prognostico in una particolare forma di leucemia linfoblastica acuta che insorge nei bambini con meno di un anno di età.
L’indicazione giunge da uno studio, sviluppato nei laboratori di ricerca della Fondazione Tettamanti in collaborazione con l’Università di Milano Bicocca ed altri centri clinici italiani, presentato sulle pagine di Blood.
Gli outcome hanno infatti evidenziato che se nelle cellule neoplastiche il gene NUTM1 è fuso con altri geni la prognosi della malattia è migliore, mentre se è il gene PAX5 ad essere fuso con altri, l’esito della patologia è più grave.
La ricerca è stata condotta analizzando retrospettivamente i dati di 30 pazienti seguiti in centri dell’Associazione Italiana Emato-Oncologia Pediatrica (Aioep) tra il 2006 e il 2019. Dalle analisi genetiche è emerso che nella forme di leucemia linfoblastica acuta MLL-germline (ossia senza riarrangiamento del gene MLL) è frequente la presenza di geni fusi con altri con una conseguente unione del loro DNA durante la traslocazione da un punto all’altro del genoma.
In 22 su 30 dei casi osservati erano presenti fusioni di geni. Le fusioni del gene NUTM1 erano le più frequenti con 9 casi (30%) in combinazione con i geni ACIN1 (5 casi), CUX1 (2), BRD9 (1) and ZNF618 (1). In questi casi si è registrata una sopravvivenza libera da malattia a tre anni del 100%.
Anche le fusioni del gene PAX5 erano ricorrenti con 6 casi riscontrati (20%), in combinazione con i geni DNAJA1 (3 casi), FBRSL1 (1), MBNL1 (1) e GRHPR (1). In questi pazienti, invece la sopravvivenza libera da malattia a tre anni era solo del 25%.
“Aver individuato la presenza del gene PAX5 fuso con altri, nei casi con prognosi più sfavorevole, ci indica una nuova strada terapeutica”, sottolinea Giovanni Cazzaniga, ricercatore di genetica medica all’Università di Milano Bicocca. “Esistono infatti nuovi farmaci sperimentali che agiscono proprio su questo target. Tra questi, in particolare, un inibitore delle chinasi che ha già dimostrato il suo effetto antineoplastico e e antiangiogenico in numerose forme tumorali”.
“Abbiamo inoltre uno strumento in più che ci aiuta a capire quando utilizzare le terapie più avanzate”, continua Cazzaniga. “Come, ad esempio, l’immunoterapia, che così potrebbe essere utilizzata per i casi più difficili, ossia per quelli in cui non è presente il gene NUTM1 fuso con altri. Queste evidenze, infine, confermano l’importanza di riconoscere e classificare i diversi sottotipi genetici in modo da poter modificare le terapie in funzione del diverso rischio di recidiva, anche se bisognerà attendere prima di poter trasferire tali conoscenza alla pratica clinica”.
Bibliografia. Fazio G, Bardini M, de Lorenzo P, et al. Recurrent genetic fusion redefine MLL-germline acute lympoblastic leukemia in infants. Blood 2020: https://doi.org/10.1182/blood.2020009032