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LNH, anticorpi bispecifici efficaci anche dopo CAR-T?

By Febbraio 23, 2020No Comments
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Confermato in questi mesi l’interesse già dimostrato nel corso dell’ultimo Meeting ASH per gli anticorpi bispecifici nel trattamento del linfoma non Hodgkin (LNH) a prognosi sfavorevole in soggetti refrattari o ricaduti più volte dopo altre terapie, compresa quella con CAR-T cells.

In particolare, l’attenzione è attualmente focalizzata su mosunetuzumab, anticorpo bispecifico in grado di legarsi sia al recettore CD3 (espresso sulla superficie delle cellule T) sia al recettore CD20 (presente sulla superficie delle cellule B). Funziona quindi come un ‘ponte’, mettendo in contatto le cellule T con le cellule B tumorali, permettendo alle prime di eliminare le seconde.
“Diversamente dalla terapia con cellule CAR-T, mosunetuzumab è un prodotto immunoterapico ‘off the shelf’, che può essere somministrato ai pazienti senza dover modificare geneticamente le loro cellule T, ha spiegato Stephen J. Schuster, dell’Abramson Cancer Center della University of Pennsylvania di Philadelphia, primo autore dello studio presentato all’ASH.

Nello studio GO29781, multicentrico di fase 1/1b, di dose-escalation, in aperto, sono state valutate sicurezza e farmacocinetica, ma anche l’efficacia, di mosunetuzumab in pazienti con linfoma non-Hodgkin a cellule B recidivato o refrattario.
I principali endpoint di efficacia erano il tasso risposta obiettiva (ORR) secondo i criteri rivisti dell’International Working Group, la dose massima tollerata e il profilo di sicurezza.

I dati sono relativi a 270 pazienti (età mediana: 62 anni; 172 uomini) arruolati nello studio in sette paesi (Stati Uniti, Australia, Canada, Germania, Corea del Sud, Spagna e Regno Unito). Tutti i soggetti erano già stati sottoposti a una mediana di tre precedenti terapie e due terzi (il 67%) presentavano linfomi a crescita rapida, mentre 85 (il 31%) mostravano forme di malattia a crescita più lenta. Nell’11% dei casi il tumore si era dimostrato resistente o aveva recidivato dopo una risposta iniziale a terapia con CAR-T, nel 29% dei casi si a era assistito a progressione di malattia dopo trapianto di CSE.
“Si trattava di pazienti per i quali non avevamo più terapie disponibili e che così avrebbero potuto migliorare gli outcome di sopravvivenza”, ha sottolineato Schuster.

Tutti i partecipanti sono stati trattati inizialmente con mosunetuzumab per via endovenosa per otto cicli; coloro che raggiungevano la remissione completa interrompevano la terapia, mentre quelli che mostravano una risposta parziale o una stabilizzazione della malattia continuavano il trattamento per altri 17 cicli.
Le risposte sono state valutate la prima volta dopo sei settimane dall’inizio della terapia e successivamente ogni 3 mesi.

Dei 124 pazienti con linfoma a crescita rapida, 46 (il 37%) hanno ottenuto una risposta obiettiva, cioè una riduzione misurabile del tumore e, di questi, 24 (il 19%) hanno mostrato una risposta completa. L’ORR è risultata superiore nei pazienti esposti a mosunetuzumab per un tempo più lungo.

Nel gruppo dei 67 pazienti con linfoma indolente, 42 (il 63%) hanno mostrato una risposta obiettiva, che in 29 casi (il 43%) è stata una risposta completa. Sia l’ORR sia la percentuale di risposta completa si sono mantenute nei sottogruppi di pazienti ad alto rischio di recidiva.

Le remissioni complete sembrano essere durature, ha affermato Schuster. Con un follow-up mediano di 6 mesi dalla prima remissione completa, 24 pazienti con linfoma indolente su 29 (l’83%) avevano raggiunto una remissione completa e 17 con linfoma aggressivo su 24 (il 71%) sono tuttora in remissione.

Nel sottogruppo di 30 pazienti che erano stati trattati in precedenza con le CAR-T, l’ORR è risultato del 38,9% e quattro pazienti (il 22%) hanno raggiunto una risposta completa. “Queste percentuali”, ha commentato Schuster, “sono simili a quelle osservate in pazienti con linfoma aggressivo non trattati precedentemente con le CAR-T”.

In alcuni pazienti i cui linfomi erano progrediti nonostante la terapia con le CAR-T, test molecolari altamente sensibili hanno mostrato che le cellule CAR-T somministrate precedentemente erano aumentate di numero dopo il trattamento con l’anticorpo bispecifico. Ciò suggerisce che, oltre alla sua capacità di uccidere le cellule B cancerose, mosunetuzumab possa anche contribuire ad accrescere l’effetto di un trattamento precedente con le CAR-T.

Schuster ha anche presentato i risultati ottenuti in alcuni pazienti ritrattatati con mosunetuzumab. Infatti, coloro che raggiungevano la remissione completa interrompevano il trattamento; tuttavia, se recidivavano potevano essere ritrattati con l’anticorpo e le risposte osservate nel gruppo dei pazienti ritrattati sono apparse simili a quelle osservate con il trattamento iniziale.

Nel complesso, anche il profilo di tollerabilità è apparso favorevole e gli eventi avversi sono risultati simili a quelli associati alle CAR-T; prima fra tutte la sindrome da rilascio di citochine (CRS), che in questo caso è stata per lo più di grado lieve e si è manifestata nel 29% dei pazienti trattati con mosunetuzumab. Nel 3% dei casi, la CRS è stata trattata con tocilizumab. Inoltre, il 4% dei pazienti ha manifestato effetti collaterali neurologici moderatamente gravi.
Fatto interessante è che i pazienti trattati con dosi più alte di mosunetuzumab non hanno mostrato maggiori probabilità di sviluppare una CRS o neurotossicità rispetto ai pazienti trattati con dosaggi più bassi.

Secondo Schuster, alla luce di questi risultati, quest’anticorpo bispecifico dovrebbe essere utilizzato inizialmente in coloro che hanno già provato le CAR-T e non hanno risposto a questa terapia o hanno recidivato. Questo gruppo di pazienti presenta infatti un innegabile unmet need.
“Mosunetuzumab potrebbe essere utilizzato anche per migliorare le risposte delle cellule CAR-T, reindirizzandole anche verso altri antigeni senza apportare ulteriori modifiche genetiche”, ha concluso Schuster.

a cura di
Stefania Mengoni

Bibliografia. Schuster SJ, Bartlett NL, Assouline S, et al. Mosunetuzumab induces complete remissions in poor prognosis non-Hodgkin Lymphoma patients, including those who are resistant to or relapsing after chimeric antigen receptor T-Cell (CAR-T) therapies, and is active in treatment through multiple lines. Blood 2019;134(1):6.