Skip to main content

Robin Foà

By Novembre 30, 2021Dicembre 6th, 2021No Comments
Rubriche

Lavoro e formazione professionale

Nella formazione di un medico, contano i “Maestri”?
Contano sicuramente gli esempi e certamente quindi anche le singole persone che si incontrano, oltre ai modelli di lavoro dove operano.

Nella sua formazione, può dire di avere avuto un Maestro?
Per me il ‘turning point’ lavorativo è stato il periodo trascorso a Londra presso la MRC Leukaemia Unit, Royal Postgraduate Medical School, Hammersmith Hospital tra il 1976 ed il 1979. Ho scoperto che cosa vuol dire fare ricerca in Ematologia e soprattutto la ricerca traslazionale. Il mio mentore fu Daniel Catovsky, a cui devo molto. E poi il modello lavorativo. I ‘vicini di stanza’ (tra tanti) erano Sir John Dacie, David Galton e John Goldman. Tutte persone che hanno lasciato un segno indelebile nell’Ematologia mondiale. E lì ho visto transitare tutto il mondo dell’Ematologia.

Ha passato periodi di studi all’estero dopo la laurea? Se sì, dove e per quanto tempo?
Sì, ritorno al punto sopra, ed agli anni londinesi poco dopo la laurea. Hanno cambiato la mia vita lavorativa. Io ‘nascevo’ dalla Pediatria di Torino (la mia prima specialità è stata in Pediatria) e al mio rientro in Italia (abbastanza casuale… avevo chiesto se c’erano possibilità di fermarmi a Londra…) sono poi passato in Patologia Medica e poi Clinica Medica a Torino occupandomi di Ematologia, e da lì poi a Roma in Ematologia. Tra il 1991 ed il 1992 ho trascorso un anno sabbatico a New York presso il Memorial Sloan-Kettering Cancer Center.

Le principali ragioni per cui ha scelto la sua professione…
Credo di aver scelto di fare medicina (e poi pediatria) soprattutto per l’esempio di un carissimo amico di famiglia che era Professore di Pediatria a Torino (Paolo Nicola).

Qual è la maggiore soddisfazione da lei avuta nella vita professionale?
Probabilmente la mia più grande soddisfazione “professionale” è stata diventare Maestro di sci (la mia prima professione)! Il prime esame lo passai a Bormio nel 1969 (Maestro-Aiuto) e poi definitivamente a Sestriere nel 1971. Primo Maestro di sci cittadino. Riferendomi alla successiva vita professionale, probabilmente il lavoro promosso in tutto il mondo nei tanti anni in cui ho lavorato per l’EHA come Councillor (due volte), President-Elect, President e Past-President, poi come chairman dell’Education Committee e dell’Outreach Unit. In Italia, forse i tanti giovani che abbiamo aiutato a crescere, formarsi e camminare con le loro gambe prima a Torino e poi a Roma.

Mettendo insieme le due professioni, ho spesso scherzato che in Istituto avrei a buon diritto potuto farmi chiamare Maestro (di sci)…. In ambiente accademico Maestro è un nome che pesa!

E la più grande delusione…
Professionalmente parlando, forse le difficoltà nei concorsi a cattedra. Non passai il primo concorso da ordinario in Ematologia perché ero troppo ‘internista’ e perché avevo fatto domanda in due raggruppamenti e quindi, nonostante il CV, la mia ‘caratterizzazione’ non era ancora ben definita… Ed il secondo concorso in Oncologia Medica perché ero troppo ‘ematologo’… La vita lavorativa va però giudicata alla fine. Poi è venuta Roma su invito di Franco Mandelli e lì è cominciata la storia che porta ad oggi.

Qual è la parte del lavoro di medico più gratificante?
Per me direi la stretta connessione tra ricerca e clinica (lezione imparata fin dagli anni a Londra). Questo ha permesso negli anni un miglioramento dell’inquadramento diagnostico, nelle stratificazioni prognostiche, nel monitoraggio della malattia durante il decorso clinico, nelle terapie mirate (‘intelligenti’). Ciò ha portato a trattamenti personalizzanti, a poter curare alcune leucemia senza chemioterapia (un sogno anni orsono) e quindi, in ultimo, a migliorare la prognosi di tantissime neoplasie ematologiche del bambino e dell’adulto.

E la più noiosa?
Sicuramente nel nostro paese la burocrazia, la difficoltà a far passare concetti di meritocrazia (valorizzare le persone e le strutture migliori…), la ‘politicizzazione’ della gestione delle strutture ospedaliere.

Sfide e scommesse

Quale sarebbe la prima cosa che cercherebbe di fare se fosse Ministro della salute?
Far gestire le aziende ospedaliere da tecnici competenti e non da politici. Guardare al merito e alla capacità delle persone e valorizzare le strutture oggettivamente meritevoli. Fare di tutto per salvaguardare il nostro Sistema Sanitario Nazionale, invidiato quasi ovunque!

E se fosse Consigliere scientifico del Governo?
Aumentare realmente i fondi per la ricerca scientifica, con procedure valutative internazionali e valutazioni a posteriori. Bandire più posti per giovani. Un paese che non fa ricerca non è un paese proiettato verso il futuro. Nel nostro campo, senza la ricerca non avremmo ottenuto i risultati che negli anni hanno cambiato la gestione clinica e la prognosi per tantissimi pazienti di tutte le età.

Quale politico inviterebbe volentieri a cena?
Mario Draghi, che non è proprio un politico…

Lettura, scrittura, aggiornamento

Come trova il tempo di scrivere e dove?
Negli anni (decenni…) ho sempre scritto. Sono nato in Inghilterra da madre inglese, e con lei ho sempre parlato in inglese. Questo mi ha enormemente facilitato nelle interazioni con colleghi di tutto il mondo e ovviamente nello scrivere. Ho sempre detto ai giovani che se si hanno risultati degni di nota è doveroso ‘pubblicarli’ e condividerli. Quindi la ‘scrittura’ è stata una costante della mia vita professionale. Dove? Riviste, capitoli di libri, libri, siti online.

Il refuso più “pericoloso” che le è sfuggito di mano…
Non mi viene in mente… Ne ricordo però uno di un collega/amico che tanti anni orsono faceva una domanda per un concorso da Professore Associato indirizzata al Magnifico Rettore (di Torino) in cui aveva scritto: Il sottoscritto XX YY, Assistente Orinario di …., …. Per fortuna ce ne accorgemmo.

Qual è il commento più memorabile che ha ricevuto da un referee?
Non ne ricordo di ‘memorabili’. Mi sovviene il commento di un referee ad uno dei miei primi lavori londinesi sul sangue di cordone ombelicale mandato al British Journal of Haematology. Il referee fece una revisione dettagliatissima su tantissimi punti e alla fine scrisse qualcosa tipo ‘since Daniel (Catovsky) will clearly understand who is the reviewer [intendendo così ‘faticoso’] I might just as well add my name: Mel Greaves’. I referaggi come sappiamo sono/devono/dovrebbero essere anonimi… Mel Greaves (Sir Mel oggi) nel nostro mondo è stato un grande.

Certo quando un editor scrive che un lavoro è accettato senza modifiche (non capita spesso… ma è capitato) è una bella soddisfazione…

Ma la peer review… funziona come filtro di qualità della ricerca?
E’ indispensabile. Ho fatto per anni l’Associate Editor e l’Editor-in-Chief per diverse riviste. E’ indispensabile avere revisori attendibili.

Quale rivista scientifica segue con particolare interesse?
Direi in primis il New England Journal of Medicine e BLOOD.

Ritiene che l’impact factor sia ancora un indicatore di cui fidarsi?
Sì, anche perché ricordo come nel passato i curricula delle persone erano valutate. Pubblicare su riviste importanti è certamente un criterio oggettivo di giudizio. E l’impact factor, pur con i suoi limiti, certifica il livello di una rivista.

Ha mai scritto una poesia? O ha mai sognato di scrivere una poesia?
Poesie no.

E un diario?
Per un brevissimo periodo da giovane.

Quale libro ha sul comodino?
Apeirogon, di Colum McCann.

In cucina preferisce stare al tavolo o ai fornelli?
Stare al tavolo. Soprattutto è meglio che non stia ai fornelli!! In questo senso, alla domanda successiva dovrei rispondere ‘si mangia per sopravvivere’, come è stato per parecchi anni…

Il libro che vorrebbe portare su un’isola deserta?
Forse Cent’anni di solitudine. Il Sud America ha sempre avuto su di me/noi (mia moglie) un fascino particolare. Natura, montagne, ghiacciai, persone, folklore, musica e letteratura.

Quale libro suggerirebbe ad un giovane ematologo in formazione?
Ci sono molti libri buoni di ematologia. Ho sempre detto ai giovani che il nostro lavoro – se svolto in un certo modo – può essere una opportunità di conoscenza di persone in tutto il mondo che hanno una certa mentalità, di viaggi, di interazioni con culture e storie diverse. Porto come esempio l’invito che ricevetti nei primi anni ’80 ad andare in Cina a tenere una serie di conferenze. Non certo facile da organizzare in quegli anni, non si telefonava in Cina, non c‘era la posta elettronica… Ci volle parecchio tempo, ma alfine andai nell’ottobre del 1985. Anzi andammo perché mi ero appena sposato e Rita venne con me. Passammo un mese in Cina. Una esperienza unica e indimenticabile in una Cina completamente diversa da quella che è poi diventata. Il libro fotografico China 1985 pubblicato nel 2012 dalla Mattioli 1885 (il secondo di sette libri fotografici, www.robinfoa.it), un documento di una Cina che non c’è più, è stato possibile grazie al mio lavoro. E questo racconto nella Postfazione al libro: il lavoro come una opportunità di apertura dei nostri orizzonti e di crescita.

I suoi scrittori preferiti?
In generale la letteratura ebraica.

Parliamo di congressi: ASH o EHA?
Direi entrambi. Ora chiaramente con la pandemia è tutto cambiato. Avremo ancora i congressi a cui eravamo abituati? E se sì, quando? Anche quest’anno non andrò all’ASH pur essendo stato invitato per una Educational Session. E probabilmente non andranno neppure le due colleghe americane della mia sessione.

Ha ancora senso un congresso specialistico nazionale?
Credo di sì, anche se in diversi paesi europei alla luce del congresso annuale dell’EHA hanno modificato i congressi nazionali. Anche su questi aspetti impatterà la pandemia.

Congressi: meglio online o di persona?
Discorso complesso. In generale, sicuramente meglio i congressi in presenza, ove possibile, anche per conoscere le persone. Però la pandemia ci ha insegnato: i) che si possono organizzare eventi a distanza (e in tutto il mondo); ii) che molti eventi in presenza sono/erano ridondanti con inutili perdite di tempo e del tutto fattibili a distanza con quindi un notevole  risparmio di tempo (e soldi); iii) che le tecnologie ci aiutano molto con gli eventi a distanza.

Ha mai usato i social media come strumento di aggiornamento?
Mi hanno coinvolto in qualche evento. Non io come organizzatore in prima persona.

Ricordi, passioni e...

Qual è stato il suo primo “esame”?
A parte quelli a scuola, il primo esame VERO è stato quello da Maestro di Sci!

Ha delle paure nascoste che può confidarci?
Sinceramente non credo di averne.

Il più bel ricordo?
Ammetto che la più grossa soddisfazione è stata passare il primo esame da Maestro di sci. Era il lontano 1969… Questo probabilmente è il ricordo a cui sono maggiormente affezionato, insieme alle tantissime giornate di insegnamento soprattutto a bambini. Ematologicamente parlando, probabilmente i primi lavori pubblicati da Londra su riviste internazionali.

Qual è il suo più grande rammarico?
Di nuovo non credo di averne.

Fotografia analogica o digitale?
Ormai digitale.

Ha un soggetto fotografico preferito?
No, dipende dalle circostanze, ma la natura ha sempre avuto per me un fascino ed una attrazione insuperabili. Il terzo libro pubblicato si intitola ‘Nature and man’.

Gli scatti che (ancora) non ha mai scattato?
Infiniti, pur avendo girato tantissimo. Ne metto qualcuno: Antartide, Tibet, Via della Seta, Iran (pur essendoci stato) in dettaglio…

Il compleanno più bello?
Penso quello dei 18 anni, per la patente!

C’è qualcosa a cui non rinuncerebbe?
La libertà di pensiero.

E qualcosa a cui vorrebbe rinunciare?
Ora non più, essendo in pensione da due anni! Ora continuo con ricerca e formazione, ma non con altre attività un pochetto più fastidiose.

Una cosa che la appassiona?
I viaggi e la fotografia. La curiosità non ha tempo e confini. Il lavoro negli anni (decenni) mi ha permesso di ampliare questi interessi in praticamente tutto il mondo.

Si mangia per sopravvivere o per godere?
Ambedue, non vivendo da tantissimo da solo.

Veg o carne?
Entrambi.

Che cosa ama di più del suo Paese? E cosa meno?
Paese unico al mondo per bellezze storiche, artistiche, naturali. Meno per senso civico, burocrazia, educazione e gentilezza (perse nel tempo), disorganizzazione. Da sottolineare che vivo a Roma e che incarna proprio l’uno e l’altro!

Quale musica ascolta e dove?
Soprattutto a casa, sia musica classica che ‘leggera’. Un nome: Bruce Springsteen (visto e ascoltato in concerto più volte).

Il suo film preferito?
C’era una volta in America.

Treno, auto o aereo?
Ogni mezzo. Dipende dove. Nel viaggi lontano, l’auto per meglio apprezzare il territorio.

Lo sport preferito?
Lo sci.

Mare o montagna?
Montagna!

La vacanza più bella?
Impossibile da dire. Troppi viaggi indimenticabili. Il più bello è sempre quello che hai in mente, che speri di realizzare e che necessita della dovuta organizzazione (come l’ultimo del Gennaio 2020 lungo la Carretera Austral, Patagonia Cilena) un mese prima dell’inizio della pandemia.

La città italiana che più ama?
Non ho una città preferita. Sono cresciuto a Torino, mia moglie è di Bologna (che quindi conosco bene) e ora da circa 25 anni siamo a Roma. La più vivibile: Bologna. La più bella/unica probabilmente Venezia.

La città europea più bella?
Londra.

Curiosità

Qual è la prima “pagina” che guarda sul giornale?
La prima pagina.

Carta stampa o giornali online?
Compriamo ancora due quotidiani al giorno. Più un terzo online.

La televisione serve a guardare…
Ora molto di più. Oltre a notizie, film e sport, l’offerta oggi è molto allargata.

Chi le telefona più spesso?
L’Istituto…

Il momento migliore della giornata: l’alba o il tramonto?
Entrambi. Amando la fotografia non può essere una preferenza.

E il miglior giorno della settimana?
Il sabato.